Comunicazione istituzionale: per camminare nella stessa direzione

Intervento all’incontro promosso dal Dicasterio della Comunicazione della Santa Sede, intitolato “Progetto Pentecoste”, il 25 maggio 2023, e rivolto a religiose.

Mi fa particolare piacere partecipare in questo percorso di formazione in comunicazione chiamato Progetto Pentecoste, in particolare ora che siamo a pochi giorni della festa della Pentecoste. Questo mi dà un grande senso di responsabilità. Speriamo di essere all’altezza.

A me hanno suggerito di parlarvi sulla comunicazione istituzionale. Cioè, non della comunicazione che possiamo fare ognuno di noi, ma di quella che possiamo fare a nome di una congregazione o a nome di tante bellissime realtà che promuovono le congregazioni e altre realtà della Chiesa: ospedali, scuole, centri di accoglienza, attività di evangelizzazione, eccetera. 

Parliamo di comunicazione istituzionale perché, con la propria attività, ogni organizzazione parla, comunica, offre un’immagine di sé, avendo così la possibilità di far splendere il messaggio cristiano oppure di oscurarlo. Con una comunicazione curata e portata avanti con criteri professionali, possiamo seguire quel comandamento del Signore nel Vangelo di mettere la luce non sotto il letto, ma sul lucerniere (Mt 5, 14-16). E questo è così, come spiegheremo più avanti, non perché vogliamo fare pubblicità del bene che facciamo, ma perché vogliamo raccontare ciò che facciamo affinché splenda il bene.

Comunicare, un nuovo modo di servire la Chiesa

Le religiose fate tanto bene alla Chiesa, siete consapevoli. Ma, magari in questi tempi, questo servizio si può estendere ancora mettendo la vostra presenza e le vostre azioni più in mostra con la comunicazione: consideratelo un servizio in più alla Chiesa. Potreste pensare: ma come, parlare di noi, raccontare le nostre storie, un servizio alla Chiesa? Non si rischia piuttosto di diventare protagoniste e lasciare spazio all’orgoglio? No, assolutamente no, se si fa bene. La buona comunicazione dei carismi che Dio ha dato alla Chiesa e di come questi operano nel mondo può essere un servizio prezioso e necessario: i cristiani abbiamo bisogno di esempi, di vite spese per gli altri, di storie che ispirino chi ha una fede addormentata, di carismi vivi che dimostrino come lo Spirito continua a trasformare il mondo… 

Ma abbiamo bisogno che comunicate tutto questo non in qualche maniera, ma bene, prendendo sul serio la comunicazione. La gente ha bisogno di sapere che cosa vi ha mosso a dare la vita. Per molti, è un mistero. Nel mondo c’è tanto rumore informativo, ed è difficile distinguere le buone storie di quelle mediocri. Per questo, serve curare la comunicazione istituzionale, affinché ciò che vi muove ogni giorno a servire gli altri, a pregare per gli altri, continui a ispirare chi è nelle vostre congregazioni e a tanta altra gente.

Quindi, per approfondire un  po’ di più su queste idee, vorrei strutturare la mia sessione in tre parti: 1) Che cos’è la comunicazione istituzionale? 2) Chi se ne occupa? 3) Come si fa?


CHE COS’È LA COMUNICAZIONE ISTITUZIONALE?

La prima domanda è che cosa è la comunicazione istituzionale? Se vogliamo una definizione accademica, possiamo dire che è il lavoro che si fa affinché l’identità dell’istituzione e l’immagine che offre agli altri siano allineate. Cioè, assicurare che ciò che facciamo e ciò che diciamo si corrisponde veramente con ciò che siamo. Soltanto quando queste due realtà coincidono è possibile entusiasmare il pubblico vicino e attirare il pubblico esterno, nel caso delle realtà cristiane con la luce della fede e con il calore della carità. 

Per illustrare questi concetti importanti sulla comunicazione istituzionale metterò un esempio esterno alla Chiesa e recente: la coronazione di Carlo III, il nuovo re d’Inghilterra. Infatti, la coronazione è stato un grande esercizio di comunicazione di un’istituzione -la monarchia inglese- che si rimonta parecchi secoli addietro. Le immagini del nuovo re e di sua moglie hanno fatto il giro del mondo.

Allineare identità e immagine per entusiasmare e attirare

Che cosa troviamo qui? Vediamo che c’è un’istituzione che ha delle caratteristiche che la fanno unica, cioè, un’identità ricca di valori come possono essere la tradizione, l’unità nazionale, la continuità storica, l’onore, perfino il sacro, eccetera. Allo stesso tempo, sappiamo che si tratta di un’istituzione che ha attraversato di recente non pochi problemi d’immagine: gli attacchi della stampa, il comportamento non sempre esemplare dei membri della famiglia reale, le divisioni interne, gli interroganti sull’utilità della monarchia… Quindi, identità e immagine non sempre vanno alla pari. Invece, con la comunicazione di un evento del genere -e con tante altre azioni comunicative della monarchia inglese- si vuole far presenti di nuovo all’opinione pubblica i valori che distinguono l’identità della corona britannica. In questo modo, vogliono entusiasmare di nuovo i propri sudditi, allineare l’immagine all’identità, creare unità intorno all’istituzione, giustificare la loro esistenza, incarnare i valori che rappresentano, guardare avanti…

So che le congregazioni religiose non organizzate eventi di quel genere, ma l’esempio mi serve per illustrare lo scopo della comunicazione istituzionale: curare i messaggi e le azioni affinché tutto ciò che facciamo come istituzione, tutti i contenuti che offriamo, le nostre pubblicazioni, le nostre attività, eccetera, diano un’immagine che si corrisponde con la nostra identità, che prenda spunto costantemente dei nostri valori. Ma non si tratta soltanto di migliorare la nostra  immagine, ma sopratutto di vivificare la congregazione, di entusiasmare a chi ne appartiene, di fare presenti quei valori per cui avete dato la vita e lavorate ogni giorno seguendo un certo carisma o spiritualità. 

La responsabile della comunicazione deve assicurare che il sito web, le attività che si organizzano, i messaggi che diamo, l’attività delle sorelle quando pubblicano in rete, le riviste, eccetera, abbiano quel “tocco” che ogni famiglia religiosa ha e che è unico, quel modo di fare le cose proprio di ogni congregazione.

Perché ogni realtà religiosa ha una propria identità, un modo di essere unico. Pensate, cosa distingue la vostra congregazione? Quali sono i tratti che la caratterizzano? Penso che a tutti noi attirano le persone coerenti, vero? Con le organizzazioni succede lo stesso: ci attraggono quelle dove la loro comunicazione, il loro comportamento, è coerente con i propri valori, anche quando l’ambiente è difficile o alcuni di questi valori diventano contro tendenza. 

Molte di voi siete impegnate in attività sociali o educative o pastorali. Pensate: riuscite a comunicare ciò che è la vostra essenza, ciò che vi ha fatto sognare, ciò per cui avete dato la vita? La gente che si avvicina a voi sa perchè fate le cose, oppure siate una realtà educativa o sociale in più? Riuscite a comunicare lo spirito cristiano? Il problema è che a volte siamo tanto impegnati a risolvere problemi urgenti che ci dimentichiamo di spiegare e di comunicare perché facciamo le cose, che valori ci muovono. E quando le persone più direttamente coinvolte in queste realtà lo dimenticano -professoresse, volontarie, impiegati, fedeli, sorelle…-, rischiamo di seccarci, come i tralci morti della vite.

Tutto comunica

Un’altra domanda sarebbe: con che cosa si fa comunicazione istituzionale? Senza dubbio, è molto utile curare bene i canali di comunicazione ufficiali: il sito web, le reti sociali, i bollettini cartacei o elettronici, eccetera. Ma, in realtà, la comunicazione coinvolge innumerevoli ambiti delle vostre congregazioni, perché tutto comunica. Tutto comunica. Comunica anche chi non vuole comunicare. Se una persona non ci vuole parlare, sta comunque dicendo tante cose. Lo stesso succede con le istituzioni: anche quelle che comunicano o comunicano male dicono tante cose. 

Tutto comunica: una decisione di governo, comunica; una crisi gestita bene, comunica; il modo in cui si risponde al telefono o alle mail che arrivano alla congregazione, comunica; il modo in cui sono curate le case o come trattiamo a chi dipende da noi, comunica; un sito web che funziona bene, comunica; il modo in cui la Madre superiore o la fondatrice sono presenti e sono riferimento o meno nelle nostre realtà, comunica… 

Tutto parla di noi, verso fuori e verso l’interno della congregazione. E comunicano di più le azioni che le parole: infatti, dobbiamo promuovere azioni che contengano messaggi forti. Racconterò un esempio piccolo: una realtà della Chiesa che conosco aveva alcuni piccoli problemi di unità al suo interno. Grazie a un suggerimento del responsabile di comunicazione, ha cominciato a inviare per posta elettronica un bollettino elettronico con notizie interne. Tra le svariate novità, ricordano i nomi di quelli che, quel mese, festeggiano il compleanno o l’anniversario dei voti religiosi, con una foto e una piccola biografia di ognuno. È un piccolo gesto, ma ha rigenerato un importante senso di appartenenza e di famiglia. È una azione che comunica tanto. E questo non si improvvisa, bisogna pensarlo.


CHI SE NE OCCUPA?

Chi se ne occupa della comunicazione istituzionale? In realtà, tutte le sorelle parlano con la loro vita e la loro comunicazione, ma fisseremo lo sguardo su una persona che può ricevere specificamente l’incarico: la responsabile della comunicazione.

Per tutti è chiaro che, affinché una congregazione possa compiere la sua missione, servono alcuni elementi: una struttura, mezzi materiali, case, cura delle vocazioni e della formazione… Perciò, attorno a chi governa -nel vostro caso, la superiora generale o come sia che denominate chi guida la congregazione-, attorno a lei si forma un gruppo di collaboratrici: l’economa, la direttrice delle novizie, l’amministratrice delle case, le vicarie responsabili delle diverse regioni, e così via. Grazie al loro aiuto, la missione si può portare avanti, prendendo decisioni, amministrando le risorse umane ed economiche, eccetera. 

Tutti capiamo facilmente, ad esempio, l’importanza dell’economa, cioè della persona che nella congregazione gestisce i soldi, sempre scarsi. Purtroppo, sempre è necessario avere del denaro per poter realizzare dei progetti, e questo lo capiscono tutti. Ma i sogni di chi fa parte di una congregazione religiosa non vanno avanti sulla base del denaro, ma grazie alla propria identità, al senso di missione, alle relazioni tra le persone che condividono un carisma, e questi sono elementi che si promuovono con la comunicazione.

La responsabile di comunicazione, vicina a la Madre Superiora, per vedere lontano

Negli ultimi anni, molte istituzioni -ecclesiastiche e non- hanno deciso di affiancare a chi dirige l’organizzazione -cioè alla Madre Superiore e il suo consiglio di governo- una responsabile di comunicazione, cioè, una persona che aiuta al governo della congregazione a curare la comunicazione. 

Grazie a questa presenza, a questa vicinanza, la responsabile della comunicazione può aiutare al consiglio di governo a tener conto del contesto prima di prendere una decisione, a trasmetterla bene, ad ascoltare le persone della congregazione, a gestire i diversi canali di comunicazione per raccontare le priorità pastorali affinché tutte spingano nella stessa direzione, eccetera. 

La comunicatrice non decide l’andamento della congregazione, ma aiuta a decidere: può essere come le orecchie e gli occhi di chi dirige l’istituzione. La sua figura ci ricorda a quei marinai che salivano sul palo maggiore delle navi per riuscire a vedere lontano e anche per scovare i pericoli vicini, in modo di aiutare il capitano a dirigere la nave.

Allo stesso tempo, si ha anche la consapevolezza che ogni sorella di una congregazione è anche portavoce di quella istituzione. Chi di voi è presente su Facebook o Instagram, chi ha un blog o si relaziona con persone attraverso Whatsapp sta comunicando, sì, a nome personale, ma allo stesso tempo gli altri vedono in lei l’istituzione alla quale appartiene. A volte sarà necessario aiutare le sorelle a prendere consapevolezza di questa responsabilità, consigliandole con delicatezza, perché la gente vi guarda. Possiamo consigliare loro, ad esempio, di evitare creare divisione con chi non la pensa uguale, o incoraggiandoli a dare la priorità ai contenuti costruttivi ed evitare quelli negativi, in particolare verso la Chiesa. Possiamo aiutarli a curare meglio le loro pubblicazioni nelle reti sociali, per farle più attraenti, o a informarsi di fonti più affidabili, senza spargere rumori o letture complottistiche della realtà, in particolare sulla vita della Chiesa. C’è un grande lavoro di educazione comunicativa da fare, perché ogni sorella può contribuire o ferire la comunicazione della congregazione.

Una incaricata di comunicazione, tendenza nella Chiesa

Vorrei comunque centrare la mia attenzione su quella persona o gruppo di persone che si occupa più direttamente della comunicazione per così dire ufficiale. Nella Facoltà di Comunicazione per la quale lavoro, presso la Pontificia Università Santa Croce di Roma, ci riuniamo periodicamente i responsabili della comunicazione di diverse realtà ecclesiali, per scambiare esperienze e imparare gli uni dagli altri: francescani, gesuiti, legionari, focolari, Opus Dei, Verbo Divino, carmelitani, salesiani, agostiniani… e la lista si sta allungando perché grazie a Dio nella Chiesa c’è sempre più sensibilità verso la comunicazione. Prendere sul serio questo compito è un’esigenza del nostro tempo.

È vero che molte realtà della Chiesa non hanno dato particolare rilevanza a questo aspetto per secoli, ma ora sembra necessario. Di recente parlavo con i responsabili di un ordine religioso che è stato fondato diversi secoli fa e che ha fatto un grandissimo bene nella Chiesa lungo la storia. E il segretario mi diceva: “Per la prima volta, ci siamo resi conto che è arrivato il momento di avere qui in curia un professionista della comunicazione. Non possiamo più improvvisare. Ci siamo espansi ma non abbiamo un unico discorso e così perdiamo forza. Serve che tutti nell’ordine sentiamo di nuovo la stessa melodia”. 

Interpretare una stessa melodia

Io, di fronte a queste parole, mi sono rallegrato subito perché la loro intuizione si corrisponde molto bene con una metafora che usiamo da anni nella mia facoltà di comunicazione: la comunicazione come uno spartito che aiuta a ogni sorella a interpretare con la loro vita la stessa melodia.

Per riuscirci, insisto che la responsabile di comunicazione deve collaborare strettamente con chi governa, la Superiora generale, per esempio. Come ho già detto, è lei chi deciderà le priorità pastorali, i messaggi da comunicare, le note principali che compongono quella melodia. Dopo, la responsabile della comunicazione potrà far suonare i diversi strumenti a sua disposizione -notizie, bollettini, eventi, attività, presenza nelle reti sociali, eccetera- affinché quelle note arrivino al resto di sorelle e ai pubblici vicini, in modo che possano dare vita a quella musica, quella che suona nel mondo quando donne e uomini impegnati profondamente incarnano lo stesso ideale.

Questa nuova sensibilità e urgenza per curare cosa comunichiamo della nostra istituzione e cosa comunicano i membri della nostra congregazione ha due motivazioni: una esterna e un’altra interna. 

Comunicazione esterna: dialogare con il mondo e ascoltarlo

La motivazione esterna è che le congregazioni religiose svolgete il vostro lavoro in una società che comunica molto di più. Negli ultimi anni l’ambiente in cui viviamo si è riempito d’informazione. Sempre ci sono state, ma mai come adesso: nella TV, sui nostri telefoni, attraverso i siti web, sui giornali, su Whatsapp…. Il mondo in cui le nostre istituzioni cercano di sviluppare la loro missione è sempre più complesso. Cambiano le tendenze, i modi di pensare, il vocabolario, le aspettative, i canali di comunicazione, gli atteggiamenti, le domande, i pregiudizi, eccetera. Nessuno è indifferente a questo bombardamento informativo: non lo sono le persone che serviamo o a cui predichiamo il Vangelo, né lo sono le religiose che già vivono la vostra spiritualità, soprattutto le più giovani. 

In una società dove siamo bombardati costantemente da informazioni, dove siamo interrogati costantemente sul perché delle nostre azioni… dobbiamo aiutare le persone della istituzione ad approfondire nella propria identità, a spiegare il perché delle loro vite. Serve essere più trasparenti, e reagire con molta più velocità. Ricordate che anche quando non comunichiamo, comunichiamo ugualmente.

In questo mondo pieno d’informazione, serve la testimonianza delle congregazioni. Serve che si conosca quale è la vostra missione. Ma serve farlo bene. Ritorno all’esempio citato prima. Ci sono alcune religiose molto attive nelle reti sociali: chi ha la fortuna di avere il talento e la capacità di farlo, penso che sia un modo positivo di far conoscere un modo di vita sconosciuto per migliaia di persone e che è una forte testimonianza cristiana. Ma serve che queste persone lo facciano bene, rispettando il carisma dell’istituzione; senza lasciarsi portare dai rischi di cui è piena la rete; attirando con messaggi positivi; proponendo pubblicazioni esteticamente belle, che siano all’altezza della bellezza del messaggio che vogliamo trasmettere; che usino un linguaggio moderno, non dolciastro ne scadente, affinché non sembri che la fede è qualcosa di ancorato nel passato e che, allo stesso tempo, non annacqui il suo contenuto; messaggi che abbiano il sapore di un carisma, che si possa dire: ‘sì, questo contenuto è nostro’, eccetera… La responsabile di comunicazione globale può aiutare le sorelle attive in rete per dargli consigli e curare l’immagine che si dà verso l’esterno. 

Unità: camminare nella stessa direzione

Il secondo motivo per cui ha senso che ci sia una comunicatrice istituzionale è di natura interna. Le nostre comunità propongono una missione comune, un desiderio condiviso, che si sostiene grazie alle relazioni, in particolare quelle che si creano all’interno dell’istituzione stessa. Le relazioni sono il segreto, e la buona comunicazione è quello che tiene vive le relazioni. 

La prima relazione da coltivare è, ovviamente, quella con Dio; poi quella tra coloro che condividono lo stesso spirito o carisma; infine, quella con coloro che vogliamo servire. Solo tessendo buone relazioni si possono creare fiducia, entusiasmo, unità, desiderio condiviso… Queste relazioni hanno molti nemici: mancanza di informazioni, mancanza di priorità chiare, distanza, sospetti, differenze culturali o generazionali, dispersione… 

Se attribuisco tanta importanza alle relazioni è per una ragione profonda, quindi cercherò di spiegarmi meglio con un aneddoto, che raccontavo anche ieri in un altro incontro. Nella mia università abbiamo un professore di filosofia che a volte fa domande provocatorie. Un giorno, mentre stavo tenendo una lezione, ci siamo incrociati in un corridoio e lui mi ha detto: “Juan, per te personalmente, cosa significa che Dio è Trinità? Mi lanciò questa domanda e se ne andò senza aspettare la risposta. Risi per l’originalità, ma confesso che mi lasciò pensieroso per tutto il giorno. “Che importanza ha per me il fatto che Dio sia una Trinità? Cosa mi cambia? Perché Dio ha voluto che conoscessimo questo mistero? Ebbene, dopo aver riflettuto a lungo, la risposta che mi sono dato è che Dio ha voluto farci sapere che Lui è relazione, che in Lui ci sono relazioni tra le persone, ed è proprio per questo che in Lui c’è unità, perché è un unico Dio. Le buone relazioni generano unità. Così, rivelandoci il mistero della Trinità, il Signore ha voluto dirci – tra le tante cose – che nessuno si salva da solo, che dobbiamo curare le nostre relazioni, che dalla relazione nasce l’unità. 

Perdonate questo ex-cursus teologico, ma questo aneddoto mi aiuta a sottolineare che solo quando curiamo la comunicazione – sia personale che istituzionale – riusciamo a coltivare buone relazioni; e quando ci sono buone relazioni, l’unità si rafforza. E dall’unità possono nascere solo cose meravigliose. Frater qui adiuvatur a fratre, quasi civitas firma, dice la Scrittura: “Un fratello aiutato dal fratello è forte come una città fortificata” (Pr. 18,19). L’unità è uno dei valori più importanti, e la comunicazione è uno strumento essenziale per raggiungerla.

Entusiasmare l’istituzione

Senza unità, invece, tutto crolla a poco a poco. Infatti, in un mondo pieno di rumore, è facile trascurare le relazioni e lasciare spazio alla divisione: chi governa dimentica di ascoltare o non sa ascoltare; chi fa parte della congregazione o dell’ordine religioso non sa quali sono le priorità del leader, né informa quando dovrebbe; le persone non condividono le notizie positive; e quando, purtroppo, arrivano cattive notizie, vengono trasmesse male e danno luogo a ferite e disincontri. Se non si alimentano i messaggi condivisi tra tutte, se non si coltiva l’identità, se non ci si preoccupa di alimentare la comunicazione interna, se non si ricorda alle persone dove mettere la testa e il cuore all’unisono… una congregazione può diventare un insieme di individualità. Ci sono molte interferenze che possono distorcere le mille e una relazione che si stabiliscono ogni giorno nelle nostre comunità, privandoci della forza e della gioia.

Tempo fa, collaborai con una realtà della Chiesa per elaborare il loro piano di comunicazione. Per cominciare, chiesi loro di avere una prima riunione con il consiglio generale per conoscere meglio le motivazioni e la situazione generale. Ricordo che in quella riunione gli dissi: “Per elaborare un piano di comunicazione, è necessario sapere dove volete che la gente abbia la testa e il cuore, per definire i messaggi e proporre delle azioni. Per tanto -chiesi-, quali sono le vostre priorità? Ad esempio, che 3 o 4 obiettivi avete per i prossimi 4 anni?”. Ci fu un momento di silenzio e si guardarono con sorpresa. Poi riconobbero di non avere delle priorità concrete. 

Forse conoscete la storia di un famoso psichiatra austriaco chiamato Viktor Frankl. Lui era ebreo ed è stato internato nei campi di concentramento. Grazie a Dio è sopravvissuto, e lui spiegava che è stato per due ragioni: una, la speranza di ritrovare sua moglie, anche lei fatta prigioniera; la seconda, pubblicare un libro che ogni giorno scriveva conservandolo nella memoria. Aveva una motivazione e un obiettivo, e questo lo ha sorretto nelle difficoltà.

Vedete? Questo è il lavoro che può fare il comunicatore per aiutare all’organizzazione a camminare insieme: incoraggiare i responsabili a fissare una destinazione, un traguardo concreto che fa realtà la propria missione, una destinazione raggiungibile che dia unità, che incoraggi tutti a camminare nella stessa direzione. Alcune di queste priorità possono essere, ad esempio, la promozione delle vocazioni, la migliore conoscenza della figura della fondatrice, una maggiore attenzione ai laici che collaborano con l’ordine, una maggiore unità con il Santo Padre e con la Chiesa locale, eccetera, ogni congregazione avrà le sue. L’importante è sapere verso dove camminare e che tutte le nostre azioni e pubblicazioni puntino a quel traguardo. Così, la comunicazione dà vita a una organizzazione.

Un professore della mia facoltà dice che la missione del comunicatore è aiutare chi governa a entusiasmare l’istituzione, a ricordare ai membri perché sono lì, perché condividono uno stile di vita. In mezzo a tanto rumore, in una società che incalza e a volte scoraggia, o quando sorgono difficoltà o quando si lavora su un terreno difficile, è necessario ricordarlo spesso. Oggi, a mio avviso, nelle istituzioni della Chiesa, la cura delle buone relazioni è più necessaria del denaro o di altri mezzi materiali.


COME SI FA?

Ora, la domanda logica è: come si fa? Di cosa si occuperebbe esattamente questo responsabile delle comunicazioni? Bene, prima di andare avanti, vorrei chiarire una cosa: la persona che fa comunicazione istituzionale non fa marketing né pubblicità. Non vogliamo vendere né vogliamo metterci in mostra: credo che tutti noi proviamo una naturale riservatezza a parlare di noi stessi e delle nostre istituzioni, perché non lavoriamo per farlo sapere agli altri né vogliamo attirare l’attenzione. In alcuni casi, la responsabile delle comunicazioni potrà elaborare notizie e racconterà ciò che si fa, ma non per essere popolari, ma piuttosto  per estendere quel bene ad altri e per trasmettere verso le sorelle come il proprio carisma prende vita nelle opere, e così poterlo vivere e trasmettere meglio.  

La responsabile di comunicazione istituzionale può svolgere numerosi compiti. Dirò solo alcuni:

  • Conoscere bene la spiritualità della propria istituzione e le sfide che ha in questo momento.
  • Essere in contatto abituale, se possibile ogni giorno, con la Madre superiora per aggiornarla su questioni di attualità che possano essere rilevanti per le decisioni di governo. Se la persona che gestisce la comunicazione non ha il suo telefono, non avete accesso diretto a lei, la sua fiducia… è molto difficile.
  • Preparare un piano di comunicazione, un documento di poche pagine che raccoglie gli obiettivi, tiene conto dei limiti e le opportunità e propone una serie di iniziative per rivitalizzare la congregazione con la comunicazione. 
  • Cercare informazioni delle attività che sviluppa la congregazione e comunicarle attraverso i canali. Dare la priorità a quelle che possano trasmettere più fedelmente l’identità. Si tratta di comunicare con le azioni: dando a conoscere quelle che già si fanno o promuovendo azioni nuove.
  • Curare i canali di comunicazione. Editare notizie, fare pubblicazioni più gradevoli e interessanti, chiudere canali che non funzionano più e aprire nuove vie di comunicazione, esperimentando in particolare con le tecnologie digitali. 
  • Contatterà i responsabili di comunicazione di altre realtà, per condividere esperienze.
  • Ascolterà, dentro e fuori della congregazione -leggendo la stampa e altre pubblicazioni online-, per intercettare questioni che possano offrire opportunità o provocare delle crisi che destabilizzino l’organizzazione. In caso di crisi, aiutare la comunità coinvolta, evitando che l’eccesso o l’assenza d’informazione peggiori la situazione.
  • Se l’ordine ha diverse iniziative educative o sanitarie o sociali, curare la loro comunicazione, affinché rispecchi lo spirito cristiano della congregazione che gli dà vita.
  • Facilitare i canali di ascolto -incontri, caselle di posta elettronica, eventi, eccetera- affinché tutte possano essere ascoltate e abbiano l’informazione che meritano di avere.

Comunicazione e professionalità: per servire, servire

Prima di concludere, vorrei sottolineare un aspetto importante: chi comunica a nome di una congregazione deve formarsi bene, affinché possa lavorare con professionalità. Non è questo un lavoro che può fare chiunque o che può essere affidato a chi sa usare un computer. No: richiede talento, sensibilità comunicativa e formazione. 

Con un gioco di parole, il mio fondatore, san Josemaría Escrivá, diceva che per servire, bisogna servire; cioè, saper fare bene le cose e, allo stesso tempo, avere il desiderio di aiutare. Per servire, servire. Nella comunicazione non possiamo più improvvisare, perché se ciò che comunichiamo è noioso o irrilevante o poco attraente, le nostre pubblicazioni diventeranno parte del rumore informativo a cui nessuno presta più attenzione.

Abbiamo bisogno di professioniste preparate, fedeli all’istituzione, che ne conoscano lo spirito, che sviluppino empatia e sappiano mettere le loro conoscenze al servizio di chi governa. Professionalizzare questo compito è altrettanto urgente che professionalizzare – ad esempio – la gestione del denaro, anche se non lavoriamo né per guadagnare né perché si parli di noi.

* * *

Mi avvio alla conclusione. Si è detto spesso che per avere una vita felice serve equilibrare tre cose: testa, mani, cuore. Cioè, equilibrare pensieri, azione e sentimenti. Nella mia opinione, a livello istituzionale, la comunicazione può aiutare a dare questo equilibrio alle nostre congregazioni e realtà: aiuterà a tutte le sorelle della congregazione a tenere sempre presente in testa la missione alla quale siete chiamate, con tutto il suo splendore e bellezza; vi incoraggerà a comunicare con le opere, cioè, con il lavoro delle vostre mani, perché non c’è comunicazione più credibile che quella che diventa azione, vita, realtà; per ultimo, con una comunicazione fatta bene e al servizio dell’altro, riuscirete a riscaldare tanti cuori e così invogliare a tanti ad avvicinarsi di nuovo o per la prima volta al Signore.

Tutto questo potete fare con la comunicazione. Grazie!

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