Brandelli d’informazione

Nell’anno 787, il II Concilio di Nicea studiò una questione molto sensibile all’epoca: il rapporto dei credenti con le immagini dei santi e della Madonna. Alcuni temevano che un eccessivo attaccamento alle immagini potesse degenerare nel politeismo. Dopo molti studi, si permise la “venerazione” delle immagini. L’imperatore Carlo Magno, assente dal Concilio ma molto interessato alla questione, chiese una informazione sulle conclusioni di Nicea. Purtroppo, il chierico incaricato consegnò una cattiva traduzione: i padri conciliari avevano concluso che i cristiani d’Oriente, secondo lui, potevano “adorare” le immagini. In latino, la differenza tra adorare e venerare era chiara, ma il chierico responsabile della traduzione non volle o non seppe farla. Fu uno scandalo per i cristiani d’Occidente. Carlo Magno, che già aveva certi pregiudizi verso Irene, reggente dell’Impero orientale e promotrice del Concilio, la accusò di dividere la cristianità. Il papa Adriano I dovette mettere pace e chiarire le cose, ma la divisione tra le Chiese d’Oriente e Occidente era già iniziata: tutto per colpa di una cattiva traduzione.

Ho riportato un aneddoto lontano nel tempo per dimostrare che il rischio di comunicare male e frettolosamente è stato e ci sarà sempre. Quando ci arrivano brandelli di comunicazione, parti di un messaggio selezionate senza molta cura da un mediatore, è necessario essere prudenti prima di arrivare alle conclusioni. Tutti siamo consapevoli di quanto possano semplificare la realtà i pochi secondi di un notiziario radiofonico o i titoli di un giornale, in particolare ora che si esagera pur di attirare visite sui siti online — per far cliccare i lettori dopo aver risvegliato la loro curiosità — e così ricavare più soldi per la pubblicità.

Come il chierico di Carlo Magno, i giornalisti possono tradurre male le parole del papa, ovviare il contesto in cui un politico ha pronunciato certe parole, o fare a meno del tono ironico o umoristico con cui è stata fatta una dichiarazione…

La realta spesso è complessa e articolata. Formarsi un’opinione o emettere un giudizio sugli argomenti di attualità richiede impegno, e non basta senz’altro sfogliare i titoli online di qualsiasi giornale o scambiare due chiacchiere con un collega di lavoro. Quei brandelli di comunicazione non possono “vestire” i nostri giudizi su un politico o su una tendenza di moda. Così, esiste il rischio di diventare troppo superficiali, in particolare su argomenti culturali che si cucinano in tempi lunghi: femminismo, immigrazione, ecologia…

Serve approfondire: ad esempio, leggendo riviste serie — gli autori hanno più tempo per analizzare la realtà —, consultando libri e confrontando fonti. E, se non si ha il tempo o la voglia, dobbiamo essere consapevoli almeno che le nostre opinioni si coprono troppo spesso con stracci d’informazione.

Lascia un commento