10 consigli per la presenza positiva dei sacerdoti nelle reti sociali

Insegno in una facoltà dedicata alla comunicazione della Chiesa, e ogni volta risulta più abituale che gli studenti -la maggior parte, sacerdoti- chiedano consigli non tanto su come utilizzare tecnicamente i Social Media (alcuni sono più bravi di me a gestirli) ma piuttosto su quale atteggiamento e su quale presenza si aspetta da loro nelle reti.

Le reti sociali sono strumenti che richiedono da un lato un approccio audace, se si vogliono usare come strumento di evangelizzazione; e dall’altro, un approccio molto prudente, se li usiamo per curiosità e svago. Come disse Sherry Turkle, “le tecnologie sono seducenti quando ciò che offrono incontra le nostre umane vulnerabilità”.

E siccome la tecnologia tende a occupare tutti gli spazi -le ore di sonno, il tempo libero, il contatto con gli altri- serve insistere su questo: le reti sociali sono strumenti che permettono una sociabilità enorme e aprono molte possibilità per avviare l’evangelizzazione, ma metteranno sempre alla prova la nostra temperanza, la nostra umiltà e il nostro distacco, virtù particolarmente necessarie per chi si addentra in questo mondo virtuale. Per esserci nelle reti senza esserne trascinato, bisogna essere un bravo equilibrista.

Siccome il tempo è poco e voglio essere propositivo, suggerirò a continuazione 10 consigli per la presenza positiva dei sacerdoti nelle reti sociali. Questi consigli servono sia a chi è presente in canali come Instagram o Facebook sia a chi utilizza Whatsapp o Telegram, perché anche attraverso queste app il sacerdote proietta una immagine di sé.

Quindi, ecco 10 consigli in meno di 10 minuti:

  1. Il primo consiglio è curare la propria identità sacerdotale dal punto di vista visuale. Ad esempio, già dalla foto di profilo di Whatsapp uno può mostrare che è sacerdote. Tutto ciò che si pubblica deve essere d’accordo con ciò che si attende da un sacerdote, ma gli elementi visuali aiutano a costruire la prima impressione, che è importante.
  2. Il canale scelto forma parte del messaggio. Non comunica lo stesso essere su Twitter che su Tik Tok. Inoltre, bisogna rispettare la grammatica di ogni piattaforma, lo stile e il tono che gli altri utenti di quella rete usano. Altrimenti, stoniamo.
  3. Serve curare gli aspetti tecnici. Un testo pieno di errori, un video di bassa qualità o delle fotografie scadenti soltanto danneggiano il messaggio, e se si tratta di un contenuto spirituale diventa un fiacco aiuto all’evangelizzazione. La fede è bella: non si può comunicare in modo brutto.
  4. Prima di pubblicare qualsiasi cosa, serve ricordarsi che il pubblico che lo potrà leggere è molto ampio. Spesso abbiamo in mente il gruppo ristretto di persone che ci conosce; e invece, nelle reti tutto può arrivare a tutti: se, ad esempio, si potesse scandalizzare a chi non abbia il contesto di un messaggio scherzoso, sarebbe meglio non pubblicarlo. Ricordiamoci spesso che l’immagine che offre un sacerdote non coinvolge soltanto lui, ma in qualche modo aiuta o danneggia l’immagine di tutti i sacerdoti del mondo.
  5. Come sapete, le reti tendono a polarizzare le opinioni, perché ci mostrano contenuti con i quali siamo d’accordo, separandoci da chi magari la pensa in modo diverso. Penso che il sacerdote debba essere particolarmente attento per non dividere la gente, per non contribuire alla polarizzazione, e in modo speciale su argomenti che coinvolgono la Chiesa. Se vuole dare la sua opinione, deve farlo con molta carità. Purtroppo, a volte, incoraggiati dal pubblico online, alcuni sacerdoti si vedono spinti a parlare di argomenti più polemici o complessi. Bisogna essere prevenuti di questi sistemi di autoalimentazione delle reti: più bene si fa, più popolarità si ha, più polemici si diventa. Serve sempre prudenza e sobrietà.
  6. Sempre che sia possibile, conviene essere positivi e propositivi, perché il pubblico attende che il sacerdote abbia una visione soprannaturale dei problemi. Inoltre, quando sia opportuno, è bene che le pubblicazioni nelle reti incoraggino la gente a cercare il contatto presenziale con attività pastorali, con i sacramenti e con altre iniziative che permettano di evangelizzare tutta la persona, e non solo virtualmente.
  7. È necessario fare attenzione al contenuto che non è nostro, ma che condividiamo. Una volta, un vescovo condivise su Twitter un messaggio pubblicato da un gruppo di musica che parlava con belle parole sull’amore. Peccato che la maggior parte delle altre canzoni di tale gruppo fossero molto offensive e sgradevoli. Qualche fedele glielo fece notare e il vescovo chiese scuse pubblicamente. Condividere tra i nostri follower ciò che hanno pubblicato altri, in qualche modo ci lega personalmente a ciò che si condivide e alla fonte iniziale. Inoltre, è meglio non condividere le catene di messaggi che ci chiedono di denunciare qualcosa o di diffondere qualche bel messaggio della Madonna o presunto miracolo. Ci fa sembrare troppo arrabbiati o troppo ingenui, rispettivamente.
  8. Essere prudenti con i messaggi diretti, cioè, con i messaggi che inviamo a un solo utente. In molte diocesi hanno una guida sul sito diocesano con chiare indicazioni. Ad esempio, in alcune si esige ai sacerdoti e catechisti di non scambiarsi messaggi con minorenni.
  9. Ricordiamo che ci sono dei messaggi che non si dicono con le parole né le immagini. Ad esempio, se un sacerdote pubblica costantemente sulle reti sembra che non abbia altro da fare; o se risponde ai messaggi alle 3 di notte, penso che non contribuisca molto a ispirare serenità e fiducia tra i fedeli.
  10. Per ultimo, serve evitare che la pastorale virtuale sovrasti quella presenziale. Spesso il lavoro pastorale nel mondo fisico non dà i risultati che vorremmo. In rete, invece, arrivano likes, applausi, messaggi di ringraziamento, eccetera. Logicamente fa piacere essere lodati e online si può orientare le anime. Ma il sacerdote deve essere disponibile per offrire i sacramenti e per lavorare anche dove ancora non ci sono risultati. Inoltre, per evitare che il successo delle reti metta troppo in mostra a un solo sacerdote, esiste già una esperienza ampia e positiva quando sono diversi sacerdoti che gestiscono insieme un canale nelle reti sociali, e pubblicano i contenuti a turno, aiutandosi a vicenda ed evitando protagonismi eccesivi.

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Finisco. Questi e altri consigli potrebbero offrirsi in un documento da pubblicare sul sito diocesano o della propria realtà ecclesiale, o per essere trasmessi in sessioni formative. La mia esperienza è che i sacerdoti ringraziano molto questo tipo di orientamento.

Mi piace pensare che il tesoro della fede è tanto potente e prezioso da poter illuminare perfino una tecnologia che, sebbene metta alla prova la nostra umanità, ci ha dato delle possibilità mai sognate prima. L’evangelizzazione in rete è un lavoro da equilibristi, servono prudenza e audacia, le stesse virtù che il Signore chiedeva agli apostoli.

Grazie.

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